Ricostruire sì, ma quando, dove e con quali soldi? Sono le tre incognite, temporali geografiche e finanziarie, che gravano sulla "Conferenza per la ripresa dell'Ucraina" apertasi ieri a Roma. Le incognite sul "quando" e sul "dove" sono evidenti. A quasi sei mesi dall'insediamento di Donald Trump, arrivato alla Casa Bianca con la promessa di chiudere un accordo di pace, anche un semplice cessate il fuoco resta assai lontano. E intanto distruzioni, combattimenti e bombardamenti contribuiscono ad moltiplicare il costo finale. L'incognita geografica non è da meno. Ad oggi non è chiaro quali territori resteranno sotto il controllo di Kiev alla conclusione della guerra e di un eventuale negoziato. A giudicare dalle intenzioni di Vladimir Putin oltre alla Crimea, occupata nel 2014 e data ormai per persa, anche le quattro regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson sembrano destinate a restare in gran parte sotto controllo russo. Ma visto che quasi tutte le città rase al suolo dalla guerra si trovano in questi territori il costo della loro ricostruzione graverebbe nel caso sulle casse di Mosca ridimensionando il conto finale della ricostruzione.
Un'altra incognita importante in questo scenario riguarda, non solo il costo finale dell'opera, ma anche l'identità dei donatori pronti a farsene carico. Le stime più recenti e attendibili ipotizzano una fattura finale da oltre 500 miliardi di euro. La somma, pari a circa un quarto del Pil italiano del 2024, resta irraggiungibile anche sommando le promesse fatte da paesi e istituzioni internazionali. Partiamo dall'Unione Europea. Nonostante le incoraggianti dichiarazioni rese ieri da una Ursula von der Leyen pronta a sbloccare oltre 10 miliardi di euro in investimenti per crescita, ripresa e ricostruzione il contributo europeo resta lontano dal garantire la copertura di quei 500 miliardi. Anche sommando ai dieci miliardi promessi dalla Presidente della Commissione i 50 preventivati dall'"Ukraine Facility" - il programma di assistenza finanziaria dell'Unione Europea - e i 4 offerti dall'"Ukraine Investment Framework" - il meccanismo di investimento europeo - si arriva a stento a 65 miliardi, circa un settimo della cifra richiesta. I contributi dei grandi investitori internazionali non ci portano molto più lontano. Il G7 si è impegnato fin qui per 40 miliardi.
La Banca Mondiale è pronta a coprire investimenti per 130 miliardi, ma solo se Kiev sarà capace di varare sostanziali riforme anti-corruzione nel campo agricolo ed energetico. Insomma anche dando per buone le promesse di Bruxelles e dei vari organismi internazionali gli impegni finanziari per la ricostruzione dell'Ucraina coprono, ad oggi, appena metà dei costi. In tutto ciò i grandi assenti restano gli Stati Uniti decisi a contribuire solo con una manciata di milioni provenienti dai patrimoni sequestrati a vari oligarchi russi. Washington sostiene, infatti, di aver già fatto la sua parte grazie ai 131 miliardi di dollari in aiuti militari e i 52 miliardi sotto forma di sostegno finanziario garantiti dal 2022 ad oggi. Resta dunque da coprire un buco da circa 250 miliardi. Ieri a Roma il Presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha affermato che la Russia "dovrà assumersi la responsabilità di ricostruire quanto ha cercato di distruggere". Un'ipotesi che ben difficilmente troverà d'accordo Vladimir Putin. E non potrà venir realizzata neanche mettendo mano ai 58 miliardi di fondi russi congelati nelle banche europee. Quei fondi, oltre ad esser insufficienti, non possono venir toccati in quanto manca una legge europea che ne consenta l'esproprio.