A quando la Barbie morta? A quando una bara giocattolo con una Barbie stecchita col suo sorriso da emiparesi così da essere giudicata «positiva, emotivamente toccante e inclusiva» come è stata giudicata anche la nuova «Barbie con il diabete di tipo 1» lanciata da Mattel? Anche la barbie morta dovrebbe «avvicinare il mondo dei giocattoli a esperienze di vita reale» come si legge su un paio di piattaforme internet statunitensi, anche la Barbie trapassata dovrebbe «rivelarsi strumento di visibilità, empatia e normalizzazione per una condizione cronica» come del resto è la morte. E allora che aspetta Mattel a produrla, che aspetta l'intero mondo woke a invocarla?
La nuova Barbie con il diabete di tipo 1 (notizia Ansa) indossa un monitor sul braccio e, per mantenerlo al suo posto, un cerotto medico a forma di cuore, più un cellulare per monitorare i livelli di glucosio e una pompa per l'insulina. «È un importante passo in avanti nel nostro impegno all'inclusività», ha detto Mattel, e da qui la nostra domanda, che ripetiamo: perché non farla schiattare direttamente? Milioni di morti di tutto il Pianeta (e i loro parenti) potrebbero sentirsi esclusi.
In passato avevamo intravisto la Barbie vecchia e la Barbie paraplegica (in sedia a rotelle) e la barbie calva (radioterapia) ma erano provocazioni, campagne shock che avevano una ragion d'essere ed erano giusto il contrario del woke, del politicamente corretto: mica le vendevano davvero, erano l'immagine di una buona causa. Le Barbie nere e mulatte invece la vendevano già negli Anni Settanta, era una questione di mercato prima di altro. Una coi piedi piatti uscì nel 1971, ma vendette pochissimo. Ken, il marito o fidanzato col sorriso da coglione, lo fecero più o meno muscoloso e addirittura stereotipato coi pesi da palestra, poi biondo, hawaiano, africano, di tutto: ma, appunto, era una questione di mercato, non di pedagogie d'accatto. La domanda è: sino a che punto si spingerà il politically correct? Le concessioni al sogno cederanno ai timori di un modello troppo anoressico? Imbruttiremo anche le principesse delle fiabe? La dittatura della verità imporrà la Barbie chiusa nel polmone d'acciaio?
Chissà, forse il problema è che Mattel una decina d'anni fa si lasciò si è sfuggire Lammily, una simil-Barbie coi brufoli, brutta, struccata e con le smagliature che si attaccano tipo cerottini: per 6 dollari c'era un pacchetto aggiuntivo con cellulite, tatuaggi, cicatrici, lentiggini, occhiali, bende, contusioni, graffi e punture di zanzara. La vendono ancora: non sorride, ha i capelli castani anziché biondi come la Barbie, che in confronto è una reazionaria, una mogliettina borghese che cammina sempre in punta di piedi per poter mettere i tacchi (resa persino moderatamente femminista da un film hollywoodiano) mentre invece Lammily ha i fettoni piantati a terra e ci puoi appiccicare calli e duroni. Mattel subì il colpo, ma ora recupera grazie al diabete di tipo 1: ma sarebbe stato parimenti inclusivo produrre una Barbie coi piedi che puzzano, in attesa del Ken stempiato, con le maniglie dell'amore e la canottiera macchiata di sugo. La verità vuole la sua parte, non è mica un gioco.